Kendo e Zen
La Via della Spada e la Mente Imperturbabile
Il Kendō (la “via della spada”) è forse l’arte marziale giapponese in cui il legame con lo Zen è più celebre, al punto da aver generato l’espressione
“Ken Zen Ichinyo” (剣禅一如), ossia “spada e Zen [sono] una cosa sola”
Questa idea, risalente al periodo Edo, fu promossa dal monaco zen Takuan Sōhō nei suoi insegnamenti al celebre spadaccino Yagyū Munenori. Takuan spiegò al samurai che lo stato mentale ideale nell’uso della spada è identico a quello coltivato nello Zen: una mente libera da ogni pensiero egoico, saldo controllo di sé e attenzione rivolta solo al momento presente. Il trattato Fudōchi Shinmyō-roku di Takuan fu il primo testo a fondere esplicitamente dottrina zen e segreti della scherma, contribuendo a trasformare l’arte marziale violenta (bujutsu) in una via di elevazione spirituale (budō). Da allora, molti maestri di spada considerarono l’addestramento interiore fondamentale quanto la tecnica: raggiungere la vittoria significava prima di tutto vincere il proprio ego e timore.
Nella pratica contemporanea del Kendo, l’eredità di questa filosofia è ben visibile. Prima di impugnare lo shinai (spada di bambù), i praticanti eseguono il mokusō iniziale: qualche minuto di meditazione seduti in seiza, occhi chiusi e respirazione profonda, per “affrontare il proprio io interiore” e trovare centratura mentale. Questa fase di quiete è ritenuta cruciale per predisporre lo spirito all’allenamento: attraverso il mokusō, il kendoka integra mente e spirito, coltivando pazienza, autoconsapevolezza e forza mentale prima di lanciarsi in vigorosi scambi di colpi. Come spiega un’esperta:
“Dopo la meditazione indossiamo il men (elmo) e iniziamo la pratica, colpendoci vigorosamente. La nostra performance durante questo allenamento attivo è profondamente influenzata dal momento di silenzio spirituale che lo precede”.
In altre parole, il Kendo riconosce che solo una mente calma e focalizzata può esprimersi pienamente nel combattimento.
Uno dei concetti zen più importanti nel Kendo è il mushin (無心). I kendoka cercano di combattere in stato di mushin, ovvero senza pensieri discorsivi o emozioni che turbino l’azione. Di fronte all’avversario bisogna reagire istantaneamente ai suoi movimenti, senza indugio né intenzione cosciente – uno stato simile all’“illuminazione spontanea” ricercata nello Zen. Come spiega la Federazione di Kendo, “conquistare l’ego produce il mushin – un termine buddhista tipico dello Zen. Il mushin nel kendo richiede una meditazione basata sulla filosofia buddhista; è questo che distingue il kendo dallo sport comune”. In pratica, quando un kendoka esperto esegue un attacco decisivo (un colpo men alla testa dell’avversario, ad esempio) lo fa in una condizione di vuoto mentale: non “decide” di colpire, il colpo semplicemente scaturisce.
Tale capacità viene affinata non solo con gli esercizi marziali, ma spesso anche con la pratica parallela dello Zazen. Non è inusuale che maestri di Kendo consiglino ai loro allievi di frequentare sessioni di meditazione zen presso templi o di praticare tanden kokyū (respirazione addominale profonda) per sviluppare la concentrazione. Alcuni dojo di Kendo dedicano persino 10-15 minuti a esercizi in piedi immobilesimilmente allo “Zen in piedi”, dove il praticante rimane fermo, con gli occhi rivolti interiormente, per accrescere resistenza, autocontrollo ed equilibrio emotivo. Questa usanza richiama tecniche di meditazione come il ritsuzen (Zen in piedi) che i samurai adottavano per temprarsi.
Storicamente, figure come Yagyū Munenori e Miyamoto Musashi hanno lasciato scritti che intrecciano arte della spada e filosofia mistica. Munenori, nel suo Heihō Kadensho, citava insegnamenti zen (spesso ispirati dalle lettere di Takuan) come
“il pensiero che ferma la mente è l’ostacolo più grande”
alludendo all’importanza di non restare intrappolati in un singolo pensiero o intenzione durante il duello. Musashi nel Libro dei Cinque Anelli parla di uno stato di vuoto e conoscenza istintiva. Tutto ciò rientra nella corrente di pensiero secondo cui la maestria nella scherma è anzitutto maestria su di sé.
Anche in tempi recenti, il Kendo è stato presentato come un cammino spirituale: il famoso motto della All Japan Kendo Federation è “Kō ken chi ai” (forgiare la mente e il corpo, coltivare un carattere vigoroso, attraverso il kendo), il che implica disciplina interiore. In sostanza, il Kendo incarna la sintesi di Zen e arte marziale: la spada diviene strumento per “tagliare” l’ignoranza e l’ego, e ogni colpo affonda solo se scaturisce da una mente tranquilla come la luna riflessa in un lago senza increspature.